Fu nel tardo autunno 2017 che tutti capimmo che l’inverno e il freddo non sarebbero mai più arrivati.
Le giornate si distendevano uguali, assolate e pigre - gatti che si stiracchiavano al sole - mentre le persone si inviavano fotografie di marine assolate, spiagge bianche e Campari soda in evidenza.
Una tinta irreale copriva i lunedì mattina. Manager e avvocati si dirigevano agli uffici in occhiali da sole griffati, camicie rosa confetto e orologi dalle plastiche fluorescenti.
La leggera ebrezza del caldo fuori stagione si respirava come una sostanza psicotropa, e tutti si sentivano piacevolmente sciocchi, nelle foto su Instagram.
Persino Equitalia recapitava raccomandate in colori sbarazzini.
Un lieve sentore di dolce stupidità permeava ogni azione, in una estate novembrina.
Iniziò con gli alberi dei viali cittadini: grasse foglie verdi si staccavano dai rami senza una ragione.
Un richiamo più antico le portava a precipitare al suolo, nello sfavillare dorato del mezzogiorno.
Poi, anche gli uomini seguirono l’esempio.
Dai grattacieli più sfarzosi ai casermoni di periferia, le persone iniziarono a precipitare, lordando le strade come frutta matura, il rosso sull’asfalto, polpa e succo di una stagione marcita.
I notiziari non facevano verbo di quanto accadeva, tutti presi dalle dichiarazioni dell’ultima stellina televisiva, dall’intervista al nuovo cantante abbronzato e tatuato.
Una nota giornalista di tendenza, una sera, dopo il rinfresco a Terrazza Martini, con una risata chioccia e il bicchiere di Tequila Sunrise in mano, oltrepassò il parapetto e si gettò di sotto, subito seguita da una dozzina di aitanti ragazzi in smoking che ridevano e ridevano mentre cadevano, quasi fosse un tuffo in piscina.
Centinaia di persone twittavano appuntamenti su spiagge semi deserte, per nuotare al largo, in un mare placido, fino a sprofondare nell’abisso.
Altri, più politicamente corretti, organizzavano girotondi fanciulleschi che procedevano sempre più veloci, fino a smembrarsi con ferocia.
Unici a resistere al massacro, i croceristi. L’imperturbabile svolgersi delle loro giornate insensate in mare li proteggeva da una natura impazzita e continuavano nelle loro serate danzanti.
Dai moli deserti del porto si potevano ascoltare orchestre brasiliane che agitavano maracas per ottuagenari ciechi e sordi.
Il mondo, lentamente, declinava, in un fulgore di luce e vento tiepido.
Quando un giornale gossipparo pubblicò la fotografia di Noam Chomsky in piscina che si abbronzava con uno specchio di stagnola, un braccialetto d’oro al polso e un sorriso senza anima, realizzammo che la fine stava arrivando, sulle note di una versione remix di Despacito.
I Quattro Cavalieri dell’Apocalisse erano una boy band che ammiccava, muovendo il bacino.
Molti anni dopo, gli alieni atterrarono, nel caldo soffocante di un luglio infinito.
Erano stati chiamati da orgogliosi messaggi di intelligenza della razza umana, ma trovarono solo qualche nave alla deriva, vecchie riprese di feste in costume, litigi televisivi, stralci di filmati porno casalinghi.
Le esili creature ristettero, perplesse e tristi nel panorama assolato, come statue di Giacometti.
Lontano, un cuculo cantava.
Ripartirono, e le loro navi lasciarono scie cremisi, come nuvole al sole di un tramonto inconcludente.
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