Ora, pensa ad un sipario che si apre, i drappi rossi ed usurati in pesante velluto si scostano e un palcoscenico di vecchio legno rappezzato a linoleum si presenta in tutta la sua maestosità di polvere.
Sullo sfondo, lo schermo cinematografico montato negli anni cinquanta, quando il cinema conquistava la provincia e il fumo azzurro delle sigarette degli spettatori rendeva così piacevole la visione del film in bianco e nero, aggiungendo quei toni di grigio perlaceo che sarebbero poi divenuti leggenda e nostalgici ricordi, ospedalizzati nelle sintomatologie da fumo passivo.
Anche il nome era fuori moda, come un viale del tramonto, come un Fitzcarraldo che ha costruito il suo teatro amazzonico scollinando l’Appennino.
Lo Splendor si ergeva lussureggiante sulla via principale del paese, parte nuova, prego, quella che collega il carro di buoi all’asfalto della Provinciale del Turchino.
Decaduto a Cinema Parrocchiale dopo i fasti del boom economico, le sue sedie in supplizio di legno si giustapponevano ai dipinti neocolonialisti di dame languidamente adagiate sopra canapè damascati.
Mi sono sempre domandato come mai le decorazioni dei luoghi parrocchiali richiamassero così filologicamente quelle dei bordelli ante Legge Merlin, ma, tutto sommato, trattavasi di luoghi di culto, sacro e profano.
La proiezione era Pane e cioccolata con Nino Manfredi, e noi ragazzi si bivaccava in sala a fare le bolle con i ciungai, azzannare reganisso e darci pugni di nascosto.
Quando la scena inquadrò l’attrice che emergeva dalla piscina in topless fu come se tutta l’aria della sala venisse risucchiata nei nostri polmoni - tutte le gomme inghiottite - e poi risputata fuori in un uragano di urla di giubilo.
Per la prima volta ammiravamo in Technicolor e Cinemascope un paio di tette.
Fu l’indelebile frazione di un secondo.
Già Don Badino, la tonaca nera come il pastrano di Nosferatu, versione Murnau, si era precipitato contro lo schermo, le braccia allargate e il capo reclinato, ostensione di crocifisso melanconico ad oscurare quelle colline ridenti, a censurare il nostro sangue e testosterone che saliva come una marea richiamata da quelle due lune rosa.
Mentre l’anemico prete squittiva all’operatore “Spegni! Spegni!” noi lo si lapidava di Gomme del Ponte, lo si trafiggeva al costato con bastoncini di liquirizia.
E, sopra quel Golgota di palcoscenico, la Croce si ergeva ad oscurare il sole di quelle poppe che tramontavano, quasi fosse un documentario religioso sulla Passione di Nostro Signore il Desiderio, coronato di spine.
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