Come le rondini, che un mattino senti garrire sulla tua testa, e scopri di essere giovane.
A mezzogiorno in punto arrivavano i comunali, con i loro buoni pasto, lo sguardo infastidito e quell’aria di chi vuole farti credere che va di fretta.
Poi entravano i dipendenti degli uffici privati, spedizionieri, agenti di shipping, e i professionisti e gli artigiani.
Avvocati altolocati condividevano battute e opinioni calcistiche con fabbri e falegnami.
E non scordiamo la parte intellettuale, direttori di musei, pinacoteche e giovani artisti dal brillante futuro, oscurato dalla penombra del vicolo.
E noi, a trottare con piatti e bicchieri, in quella bolgia di varia umanità, che, per una mezz’ora, era costretta a dimenticare rango e grado, nella democratica coda di chi aspetta il suo turno al tavolo.
Ero sprezzante e caustico, che si sapesse. “Ma lui ha più ravioli di me!” “Non li conto con il pallottoliere.” “La sua crostata è più grande!” “Non la tagliamo con il compasso.”
Avevamo settanta/novanta persone da sfamare in due ore, non c’era spazio per il contraddittorio. Un giorno due svampiti turisti tedeschi lasciarono gli zaini sopra la botola che dava in cantina.
Li spostai per due volte. La terza, aprii la porta e li scaraventai nel vicolo.
Tutto era un latrato, un ordine, una battuta.
Lui arrivava al culmine del caos. La sua pancia prominente e la fisarmonica lo precedevano.
Io spegnevo la musica, gli porgevo un bicchiere di vino, e lo lasciavo suonare.
Orfeo placava le belve, me per primo. Gli occhi socchiusi, la bocca piegata in una smorfia di ribrezzo, iniziava la musica, e tutti facevano silenzio, le teste chine sui piatti.
Improvvisamente quella moltitudine di commensali rancorosi e permalosi si mostravano per quello che erano, quello che siamo tutti.
Piccoli uomini che consumano un pasto, mentre la vita ci consuma.
Più beveva e più suonava bene.
Un giorno arrivò già ubriaco dal suo giro di locali e attaccò “Ma se che pensu” orribile canzone cliché genovese. La stravolse fino a farla divenire una passacaglia di Bach, qualcosa di metafisico e irreale, che convinse anche i più riottosi clienti ad un applauso, timido e sincero.
Mi avvicinai per offrirgli il bicchiere, ma lo rifiutò, e, quel giorno, non passò tra i tavoli a chiedere compensi.
Uscì dalla porta e - forse è una immagine che ho incollato dopo - mi sembrò più alto, e più fiero.
Non ricordo il primo giorno che arrivò al mio locale, e non ricordo quando scomparve.
Non so come si chiamasse, chi fosse, quale la sua fine.
Nelle trattorie dell’ora di pranzo tutto è un istante, ripetuto infinite volte.
Rimane per sempre solo nella memoria.
Come le rondini, che non ricordi mai il giorno preciso del loro arrivo.
Che non ti accorgi subito di quando se ne ne sono andate.
Arriva il tuo autunno, e ti vengono a mancare.
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