martedì 23 febbraio 2021

MOSCHE E GIUDICI



Sulla busta di biscotti c’è scritto che l’azienda si impegna per un mondo più buono.

Al momento, il mio mondo è quel pianeta nero e fumante che ho sotto gli occhi, il cerchio del mio caffè del mattino. La testa mi fa male e i ricordi sono confusi, come sempre, quando ho bevuto troppo. Conosco la ginnastica riabilitativa che devo fare, e ripercorro la scorsa giornata, sorseggiando la colazione.

In mattinata ero in tribunale, per una stupida causa di successione, una lite tra parenti per qualche spicciolo. Siamo tutti riuniti nell’ufficio del giudice, un personaggio collerico e bisbetico, e, nel momento in cui devo firmare il documento, il telefono squilla. E’ una chiamata importante e rispondo senza pensarci, ma vengo redarguito dal mio avvocato. Allora interrompo la conversazione, ma, nella foga, mi firmo con il nome della persona che mi stava cercando. Imbarazzato, cerco di spiegare l’accaduto, ma il giudice dà di matto, urlandomi contro. Io non la prendo bene e replico “Mi stia a sentire, trovo che lei sia un…” “FAUSTO!!!” L'urlo potente e disperato del mio legale interrompe una mia prossima incriminazione di oltraggio alla Corte. Poco più tardi, in separata sede, con parole accorate, mi redarguirà con passione “Ma che ti succede? A volte mi sembra che tu non capisca quale sia la realtà”. So che ha ragione. 

A mezzogiorno una coppia gentile viene a pranzo al ristorante. Dopo avere mangiato mi confessano che sono entrati perché amano leggere le risposte che lascio alle recensioni sul mio locale. Si sono fatti l’idea di una persona garbata e sensibile. Mentre mi parlano un tavolo di clienti abituali continua a battere il coltello sulla brocca di vino vuota, come fastidiosa richiesta di un nuovo mezzo litro. 

“ALLORA! POTETE ANCHE ALZARE IL CULO E PORTARMI LA CARAFFA!!” 

Urlo di colpo. La coppia che mi credeva una persona sensibile scolora di colpo. 

Nei loro occhi leggo tutta la delusione nel constatare che io non sono quello che si aspettavano.

In serata due vecchi amici, un editore milanese e un direttore di teatro, verranno a cena da me, in compagnia di uno scrittore entomologo svedese, dopo la presentazione del suo libro. L’attesa è lunga e comincio una cospicua serie di aperitivi. Quando arrivano, alle 22:30, sono praticamente sbronzo. 

Faccio conversazione con lo scrittore, parlando di insetti. 

Ad un certo punto lui tira fuori dalla tasca una scatolina argentata che racchiude una mosca, fissata con uno spillo, le ali allargate. L’addome dell’insetto è a strisce gialle e nere, simile a quello delle api, un trucco per sembrare pericoloso. 

“Conosco questo tipo di mosca!” esclamo. Lo scrittore mi sorride, malizioso.

“Già! E’ un insetto che vuole sembrare qualcun’ altro. Ma, d’altra parte, non lo facciamo tutti?”

Quando vanno via è l’una di notte. Il mio Pub preferito è ancora aperto, entro e bevo ancora.

“Siamo tutti a sforzarci di sembrare qualcun’ altro", biascico al barista, “e neanche sappiamo bene chi siamo, davvero”.

Tornando a casa penso che, tutto sommato, è stata una giornata come le altre, e mi domando se per tutti è così, oppure se solo a me succedono queste cose. 

E poi mi chiedo se, in definitiva, sono al colmo di una enorme serie di accidenti, o se posso dirmi fortunato di tutti questi inciampi e cadute.

La notte è serena e l’aria è dolce. Mi fermo in mezzo alla strada. 

Qualcosa vibra nella mia tasca.

Estraggo con dolcezza la scatolina d’argento che ho rubato allo scrittore svedese. 

La mosca ha un lampo iridescente negli occhi a prisma che sembrano fissarmi. 

Con molta cura la libero dallo spillo che la trattiene. 

Le delicate ali trasparenti iniziano a tremare, e silenziosamente si alza in volo.

Mentre la guardo andare via le sussurro “Non tornare troppo tardi, domattina. Ci aspetta un’altra giornata da vivere.”

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