Topolino è in piedi, solo e impacciato sulla piazza della Cattedrale.
I pochi passanti lo evitano con occhiate torve, lui cerca di attirare l’attenzione di un bimbo, agitando le sue buffe, grandi mani guantate a salutare il piccino che contraccambia con uno sguardo duro di disprezzo.
Non sa che fare, Topolino.
Dondolando la sua testa di gommapiuma con grandi orecchie tonde suppone che i suoi colleghi Topolini di Disneyland se la passino molto meglio.
Lui voleva girare il mondo, che immaginava meraviglioso e festante come il castello della Bella Addormentata, così convinse Pippo a viaggiare insieme a Pluto.
Le cose andarono male. In una città che nemmeno ricorda Pippo si prese una bottigliata in faccia da un tifoso ubriaco e Pluto fu investito da un’auto qualche giorno dopo, mentre facevano l’autostop.
Topolino lo vide morire sputando sangue e denti, mentre le sue goffe mani cercavano di rimettere insieme quelle lunghe, magre zampe smembrate.
Quella notte lui e Pippo, bendato come Lawrence d’Arabia, lo seppellirono ai bordi dell’autostrada: due grottesche creature con badile illuminate dai fari delle automobili dei pendolari. Poi Pippo caracollò via gorgogliando lamenti come in un cartone animato.
Topolino se ne sta ai bordi della piazza.
Un bambino dislessico tira la giacca della madre “Guarda! E’ Tolopino!” Lei, distratta, fa una foto con lui e il piccolo, e se ne va.
Topolino li saluta, fingendo di essere parte di qualcosa, strascicando le sue buffe scarpe gialle sul selciato.
Si rammenta della sua infanzia, un trovatello lasciato ai bordi di Eurodisney 5, e internato, come da prassi, nella Casa dei Topolini.
Ecco il vecchio maestro, le grandi orecchie nere flosce per gli anni, che cantilena le lezioni della buona accoglienza, ecco il cortile dove giocavano vestiti da Tip e Tap, e la recita annuale con il discorso del Paperone della Banca Centrale, la maschera arcigna e il completo doppio petto: “Siate produttivi e disponibili. Propositivi e solari, e, chissà, un giorno potrete viaggiare sulle nostre navi da crociera.”
Viaggiare...
Una volta, i Topolini che fuggivano venivano ripresi e processati per inadempienza contrattuale. Poi capirono che era meglio lasciarli vagare, randagi e soli, a testimonianza che i sogni son desideri solo entro i cancelli delle loro Gmbh.
Se almeno ci fosse la sua Minnie. Ma era stata assegnata ad un nuovo comprensorio sperimentale, accoppiata con un Gambadilegno malinconico e taciturno, allo scopo di creare un nuovo parco tematico trasversale, più moderno e politicamente corretto.
Si erano congedati su una panchina del nuovo Trans Disney, tutti e tre rigidi e seduti composti per le fotografie.
Gambadilegno, in canottiera, una birra analcolica in mano, la testa china mormorò che dovevano andare, ora. Rimase seduto a guardarli allontanarsi mentre la banda festosa suonava “Topolin, Topolin, viva Topolin!”
Fu allora che decise di andare via. Lui ce l’avrebbe fatta.
Avrebbe sfilato per le vie delle più belle città, e la gente avrebbe applaudito, mentre lui salutava e faceva inchini.
E invece era finito a supplicare sorrisi e spiccioli.
Si è fatto tardi, nella piazza.
Lampioni accesi, qualche risata di donna, per un altro pubblico, per uno svago da adulti. Topolino non può più restare, due guardie, manganelli neri e occhiali a specchio si stanno già avvicinando.
Correndo impacciato nel suo costume si scopre a pensare che non sa, di preciso, quanti anni abbia.
Quanto tempo gli resta, ancora, da nascondersi dentro quella testa di topo, quanti anni, ancora, da fuggire, come un ratto.
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