Diciamo infinito ciò che non sappiamo contare:
il numero dei passi che ci ha allontanato da chi eravamo,
le lucciole nel buio di una lontana notte d’estate,
le parole sussurrate da una donna di cui non ricordiamo più il sorriso,
le rette parallele che corrono e corrono, senza mai convergere,
il simulacro inerte della nostra figura, inutilmente replicato tra i due specchi opposti.
Infinito è quel luogo ove riponiamo ordinatamente quello che non riusciamo a capire e cataloghiamo in atto burocratico nell’archivio del non necessario.
E laggiù, l’anima protestata come un assegno scoperto, ride e piange, piange e ride, nella filigrana di ipotesi di quello che siamo, di quello che avremmo potuto essere.
Sempre emozionante, Oste.
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