Quando a mia moglie si ruppero le acque, lei era sola in casa.
Passò dal ristorante con uno zainetto, preparato per l’occorrenza, e mi disse che era arrivato il momento. Lei andava in ospedale "Ma tu fai con calma, ci vorrà tempo."
Aveva la voce tranquilla e lo sguardo velato di chi sa, di chi aspetta quel momento.
La raggiunsi nella sua stanza, il travaglio era iniziato.
Sapevo quanto ci tenesse a che io assistessi al parto e, pur dubbioso della mia utilità, non avevo alcuna obiezione. Passarono molte, molte ore prima della sala parto, e sempre più mi accorgevo di entrare in un mondo sconosciuto, in cui potevo solo fare da spettatore. Quando finalmente si arrivò al dunque, ricordo solo di essermi sentito come un fantasma.
Tutto era altrove, uniche attrici le ostetriche e mia moglie.
Il parto non fu semplice.
Il ginecologo, seduto in disparte, valutava se operare un cesareo, o lasciare proseguire.
Anche lui sembrava, come me, una statuina di presepio, un pastorello posato sullo sfondo, in seconda fila.
Solo le voci delle ostetriche, dure, talvolta taglienti, e poi complici, a seguire un qualcosa, un dannato mistero che noi, non riuscivamo, non sapevamo proprio vedere.
Alla fine il parto avvenne naturalmente.
Mia moglie è una donna forte, una forza differente da quella maschile, una tempra dolce ma indistruttibile.
Lei spesso mi dice che ricorda di avere avuto, ai lati del lettino, la Morte e la Vita.
Io non vidi nulla, ma non per questo sono meno certo che lei abbia ragione, e non
metaforicamente. Il Nume si manifesta talvolta a qualcuno, ma non a tutti.
Ancora oggi non so bene che cosa avvenne, mi resta lo stesso stupore di allora, la coscienza di avere assistito a qualcosa che non so spiegare.
La chiamano nascita, e parlare di questo risulta sempre banale.
Per me rimane un passaggio, un divenire, ma sospetto che per mia moglie, per qualsiasi donna, sia un atto concluso e cristallizzato fuori dal tempo e dal mondo. Rimane per sempre.
In giornate come queste, di cielo azzurro e mare blu, mi piace camminare sul litorale.
I gabbiani volteggiano in cielo: li guardo nel loro impossibile volo, non so come riescano, e non mi interessa. Sono solo felice che possano, miracolosamente, galleggiare nell'aria.
Le loro ali danno un senso al mio arrancare per strada.
Si parla molto, adesso, di parto, uteri in prestito, fecondazioni in vitro e via andare.
Io non ho, come sempre, certezze o risposte.
Spero solo mi sia concesso l'eterno, rinnovato stupore, nel vedere il gabbiano alto, sopra la mia testa.
Nel ricordare gli occhi di mia moglie che incontrano, per la prima volta, suo figlio.
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