Mi sgridava sempre per il mio abbigliamento, poco consono al proprietario di un ristorante: perchè non indossavo mai una bella camicia bianca e stirata?
Non comprendeva neppure come fosse possibile che alcuni clienti trattassero i loro animali domestici come figli, lui che per lo studio dei suoi figli sacrificava la sua vita.
Scuotendo tristemente la testa mi diceva: “un cane mica lo impara, l’inglese”.
Vendeva con garbo le sue lucine colorate, le cartine per le sigarette o per altro, fazzoletti, accendini, piccole carabattole.
Io lo chiamavo Capo, lui, più aggiornato di me nella comunicazione, mi chiamava Boss.
Le nostre vite si incontravano alla sera, dove talvolta riuscivamo a prenderci cinque minuti per parlare delle nostre rispettive famiglie.
Qualche volta passava prima dell’inizio del servizio, unicamente per fare due chiacchiere.
Nella sua necessità di vendere sapeva trovare l’occasione per scambiare qualche soldo di umanità.
Spesso ho pensato che, se fosse nato in una differente intersezione di meridiano e parallelo, sarebbe diventato un Direttore Commerciale di una qualche rinomata Società per Azioni e, probabilmente, l’avrei servito al tavolo in un sabato sera.
Non mi veniva a cercare soltanto per i pochi euro che gli compravo.
Cercava la comprensione ed il rispetto in qualche parola, uno sguardo un poco più attento, quello di chi si è trovato nell’intersezione sbagliata e sa cosa significa.
Solo che io mi ci trovai per mia scelta e mia colpa, lui, soltanto per il caso che incapriccia le nostre vite.
Mi chiedo dove sia, adesso, e come sopravviva questi giorni.
Gli ultimi non fanno mai rumore.
Vivono discreti agli angoli dei nostri egoismi. Sono felici quando noi siamo felici, perchè possono ricavare qualche spicciolo di speranza.
E sono tristi quando noi siamo tristi, perchè semplicemente non sono capaci di dare un prezzo al dolore.
Fai tu l’offerta.
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