martedì 23 febbraio 2021

LENTO FUMO

 


Il giorno della Santa tutto il paese si addobbava a festa, le bandierine colorate sulla piazza, noi bambini sul palco che lasciavamo i palloncini verso il cielo. 

Dopo il gelato del Bar Moderno mi portavano ad ossequIare i parenti alla lontana. Nella casa della Cicchinin percepivo ogni volta quell’odore di sigaro toscano e cera da pavimenti. 

Che poi, mi domandavo, chi era che fumava il sigaro, in quell’appartamento da anziana signora. Favoleggiavo di un Signor Cicchinin che riusciva, ogni volta, a volatilizzarsi, nel momento dei saluti, lasciando solo quel sentore di tabacco alle sue spalle. 

La villa della Signora Cantamessa, di un tardo Liberty invecchiato, era ombreggiata dal grande cedro del Libano. Quando la costeggiavamo mia zia proferiva “Guarda la villa della Signora Cantamessa!”. 

La casa era chiusa da tempo, e la Cantamessa, chiunque lei fosse, non era più, e da molto tempo. Fu in una di quelle estati che capii che i nomi delineavano i luoghi.

Quella casa era una Villa perché apparteneva, od era appartenuta, alla Signora Cantamessa.

Grande fu la mia delusione, anni dopo, quando scopersi che questa acuta riflessione era già stata scritta da un certo Marcel Proust.

Gli anziani notabili del paese percorrevano la via principale in sella alle loro Moto Guzzi di un rosso fiammante. Procedevano a passo d’uomo, il Panama in testa, le labbra strette a imprigionare il mezzo toscano, mentre il motore quattro tempi cadenzava il loro avanzare. 

C’era un senso, in quella laica processione, che io, bambino, potevo intravedere, senza capire del tutto.

Alla faccia di Boccioni, Marinetti e dei Futuristi, il mezzo meccanico si genufletteva alla pastorale contadina. Il rumore sordo e cadenzato del motore convolava in nozze riparatrici con il giogo di buoi che cigolava sullo stesso percorso.

Ripensandoci adesso, forse già allora avvertivo la maledizione. 

Forse già allora sospettavo che il frutto di quella unione, di quell’amplesso tra corna e pistoni, eravamo noi, giovani Asterione. 

Minotauri smarriti in un labirinto di internet: inermi, vigliacchi, ipocriti e violenti.

Certe notti mi chiedo se il mio fumare lento il mezzo toscano non sia altro che la Belva, nel dedalo di angoli acuti, che, smarrita, guarda la luna, rimpiangendo quel passato, mentre attende un Teseo multimediale che gli recida l’arteria.

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