Marta sorride mentre mi porge il bicchiere. La serata è stata lunga, e siamo stanchi.
Il marinaio di Casablanca si è arenato sulle secche di questo bancone qualche anno fa, ancorato ad una birra sta discutendo con il muratore bergamasco, trascinato al mare dalla piena dell’ultima alluvione, tronco di faggio incastrato in questo dedalo di vicoli.
Gesticolano con parsimonia genovese il linguaggio dei bevitori.
Noi tutti guardiamo Marta, e cerchiamo la sua risata.
E certo, qualcuno indugia nel golfo della sua scollatura, ma pacatamente.
Perchè, alla fine, siamo tutti qui ad aspettare il sorriso di Marta, e le chiediamo, senza speranza, “Facci restare in questo porto, Calipso, donaci l’oblio di ciò che siamo, per qualche ora”.
E Marta ha gli occhi che ridono, mentre intreccia i capelli corvini nel pallido indice
e controlla circospetta il suo profilo di Ninfa nel riflesso delle bottiglie ambrate.
Lei conosce qualcosa che ci sfugge.
La risacca di vecchie mareggiate, il monotono rosario di bestemmie e preghiere di antichi naviganti.
E Marta sorride, e io non capisco se sia lei a decidere la rotta, stanotte, o se è questo Mediterraneo increspato che ci porta in deriva, attraverso i suoi occhi.
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