sabato 20 marzo 2021

NOBLESSE OBLIGE



Millantava una fraterna amicizia con Manuel Vazquez Montalban, comunque impossibile da comprovare, essendo lo scrittore deceduto. 

Vantava non ricordo quali titoli nobiliari, ascritti alla moglie, che precedeva trionfalmente all'entrata del ristorante, facendo spazio alla sua apparizione, ieratica come una diva del muto, con i suoi enormi cappelli popolati di penne di fagiani, pernici, pavoni, tanto che mi figuravo quei copricapo iscritti all'elenco nazionale delle Oasi Protette e fantasticavo che le stole che avvolgevano la sua figura fossero volpi ed ermellini caduti nel sonno, dopo lunghe razzie tra i volatili del suo cappello. 

Mi trattavano con un benigno disprezzo, la indulgente alterigia di chi sa, ahimè, che non esistono più buoni servitori, e ci si deve contentare. 

Lui condivideva con me piccanti rivelazioni su amanti di lui e di lei con la naturalezza del gentiluomo che scambia due parole frivole con il venditore di frutta o di giornali. Mai, però, mi avrebbe parlato di musica o letteratura, perché, a suo avviso, mondi ci separavano. 

Erano estinti come un fossile del Cambriano e la mia bonaria sufficienza incartava la loro, senza che se ne avvedessero. 

Poveri anziani manichini con le loro polverose regole di bon ton, che non sapevano di essere morti, fucilati insieme ai Romanoff dalla Armata Rossa, affondati con la prima classe del Titanic, esiliati con il loro re dal referendum per la Repubblica. 

Quella sera avevano riservato un tavolo per otto e lui era giunto prima degli altri, in compagnia di una amica della moglie. 

Si erano seduti, ordinando spumante nell'attesa. 

Ad un certo punto tutta la sala ascoltò la voce di lei urlargli: "Non tollero che tu parli di lei! Non devi nominarla! Villano, non sai che non si parla di un'altra donna quando si è con una gentildonna?" 

Stupiti per l'insolito tono di voce, ci ritrovammo tutti a considerare questo punto di vista. L'espressione di perplesso "Ah, non sapevo!" era stampata su ogni cliente.

Nel frattempo lei, a chiosa della sua lezione di galateo, gli gettò in faccia tutto il bicchiere di vino. 

Un silenzio teso ed imbarazzato ci avvolse tutti. Eravamo a guardarlo, bocca aperta, senza neanche far finta di niente, muti e curiosi. 

Lui si alzò in piedi. Con estrema, elegante nonchalance, estrasse la pochette dal taschino, si asciugò il viso. Poi, rivolto a tutti noi, con tono discreto disse: "Chiedo scusa, è colpa mia." 

Non ci fu uomo che non provò una fervente ammirazione per lui e non ci fu donna che non avvertì gratitudine per lei.

Credo ne uscimmo tutti un po' migliori.


Certo, oggi siamo più liberi, svincolati da noiose etichette, siamo liberi di vomitarci addosso insulti e sgarbi, liberi di nuocere, di prevaricare. 

Certo abbiamo giustiziato la nobiltà ma, nell'entusiasmo della ghigliottina, abbiamo decapitato anche la Grazia.

E così quelle figure, atteggiate a pose da opera mozartiana, dileguano nei ricordi e il Nuovo avanza tra suonerie telefoniche e messaggi vocali ascoltati a tutto volume.

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