martedì 23 marzo 2021

RITRATTO DI FAMIGLIA IN UN ACQUARIO



Lei ha un sorriso inerte, anestetizzato dai colori pastello di un qualche anti depressivo di ultima generazione, mentre, con occhi vuoti come i bicchieri che ho trangugiato questa notte, mi ordina una pasta al burro per il figlio più piccolo. 

Lui ha la disinvoltura di quegli uomini sulla quarantina che vogliono dimostrare di essere perfettamente in forma, ancora giovani, assennati, ma con un che di spirito ribelle. 

Pregasi notare il filo di palestra, sotto i tatuaggi in stile yakuza giapponese.

I bambini, seri ed annoiati, ci tengono ad atteggiarsi a figli di un Briatore minore. 

Se potessero mi esibirebbero un libretto di assegni. Della Banca di Topolinia, data l’età.

Non sono particolarmente disturbanti, una famigliola turistica che ha smarrito il sentiero di mattoni d’oro, e si ritrova accidentalmente in questo posto, ma mi procurano uno strano senso di disagio.

Mi domando a lungo, mentre porto piatti fra i tavoli, che cosa mi inquieta nella loro presenza.

Hanno sicuramente visitato l’Acquario, in una gita festiva per grandi e piccini. 

La loro felicità di plastica, usa e getta, riverbera su di me la vecchia domanda: in fondo, non siamo tutti uguali? 

Non ci illudiamo tutti di avere un significato, uno scopo? Non ci atteggiamo tutti nei panni di una serenità artefatta, chi con una gita al mare, chi con la vacanza culturale, chi, come me, nella propensione agli alcolici e alle ore piccole?

In epoca medioevale erano comuni i dipinti di tre giovani cavalieri, nobili ed agiati, che si imbattevano in altri tre cavalieri con le carni putrefatte, i vestiti a brandelli, le occhiaie vuote.

Con orrore scoprivano che erano di fronte alle loro immagini, deturpate dal tempo e dalla morte.

Oggi, in questa epoca di divertimento preconfezionato, di felicità obbligatoria, di processioni di turisti in fila come vermi, che inalberano al posto dei crocefissi i loro bastoni da selfie - i cellulari orizzontali, come una croce - questa famiglia disvela il mio destino, il destino di tutti, tra Prozac, alcol, centri benessere e partitella a calcetto. 

Quando escono dimenticano sul tavolo la foto ricordo scattata all’Acquario. 

Sono in posa, seri, nei loro sgargianti vestiti sportivi. Nessuno ride. 

Il geniale marketing dell’Acquario di Genova li ha incorniciati tra le fauci dentate di uno squalo bianco. 

Sollevo il cartoncino fustellato con l’immagine, e rido amaramente, mentre penso che è proprio così: siamo tutti lì, composti e quasi tristi, nella bocca del pescecane, come Pinocchio. 

Aspettiamo che le poderose mascelle si chiudano su di noi.

Chissà, forse l’ufficio marketing dell’Acquario, oggi, prende il posto della pittorica medioevale. 

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